Come sapete i vizi (o peccati) capitali, secondo la religione cristiana, sono sette: avarizia, accidia, gola, invidia, ira, lussuria, superbia. Io, senza falsa modestia, me ne imputo uno: invidia. Gli altri non mi appartengono per inclinazione naturale, per tradizioni familiari e soprattutto per problemi finanziari. Troppo costosa la lussuria, la superbia, l’ira e tutto il resto. Più che vizi capitali, li definirei privilegi da ricchi.
Dunque, sono invidioso. Invidio gli scrittori che possono permettersi la fascetta sul volume con la dicitura “centomila copie vendute in tre giorni” oppure “sei edizioni in due ore e mezza” o anche “il romanzo che ha conquistato milioni di persone in tutto il mondo”.
Oggi, 31 marzo 2019, ho letto su un giornale:
“Becoming: la mia storia, uscita sei mesi fa, è già approdata in questi giorni ai 10 milioni di copie in tutto il mondo”.
Ho rischiato la catalessi. Vi prego di fare uno sforzo e leggere cos’è, più o meno, la catalessi secondo la Treccani:
”… un fenomeno di automatismo psiconeurotico, caratterizzato principalmente dall’impossibilità della contrazione volontaria dei muscoli, coincidente con un’attitudine a conservare gli atteggiamenti impressi agli arti … Durante la catalessi, che può durare anche settimane, le attività respiratoria e cardiaca sono indebolite, la sensibilità è ottusa … Esistono peraltro stati catalettici molto rassomiglianti osservabili negl’idioti, in alcuni degenerati, nei dementi precoci …”
Ho rischiato quella cosa lì.
Arrivato al brano:
“Cifre impressionanti che motivano l’anticipo sbalorditivo versato alla firma del contratto ai coniugi Obama: 60 milioni di dollari per le rispettive autobiografie”
la catalessi si è inevitabilmente verificata e sono entrato nello stato di sensibilità ottusa per alcune settimane.
Grazie all’intervento dei familiari sono uscito dalla catalessi e, appena riavuta la sensibilità motoria degli arti, ho cercato di immaginare cosa mai avrà scritto Michelle La Vaughn Robinson in Obama, per raggiungere livelli così alti di letteratura e soprattutto di vendita.
Quale aspetto della sua vita che già non ci avessero raccontato le cronache. O quale segreto di stato o intrigo internazionale avesse scoperto durante i due mandati del marito presidente.
Ho ripreso a leggere il lungo resoconto e sono arrivato alle parole chiave:
“Michelle ha scelto di dire la verità … e di non nascondere il suo percorso dietro il velo del perbenismo e del politicamente corretto”.
Ecco qua, mi sono detto. Più facile di così! E ho annunciato a Franca: “Da domani scriverò la verità e non nasconderò il mio percorso dietro il velo del perbenismo e del politicamente scorretto”.
Franca, molto, molto più sensibile nel razionalizzare certi eventi, mi ha guardato senza il velo del perbenismo e cioè con il compatimento che si deve a coloro che hanno la mentalità ottusa, e ha affermato: “Non credo che basti”.
“No?”
“No, quelle cose lì le hai praticate durante tutta la tua carriera di scrittore e non mi pare che…” e ha lasciato perdere il seguito.
L’invidia è diventata rabbia e la catalessi, desiderio di inveire. Metaforicamente. Cos’avrà mai scritto quella specie di first lady per meritare 60 milioni di dollari di anticipo? Quanti milioni di affamati si potrebbero sfamare e assetati dissetare? Quanti gommoni nuovi di zecca si potrebbero acquistare per non far affogare i poveracci che scappano dalle crisi mondiali tollerate (se non volute) anche dal signor Obama, marito della suddetta first lady. Il qualche, fra qualche settimana e con il suo libro La mia storia da presidente (immagino che s’intitolerà così), seguirà il percorso della consorte.
E io continuerò a chiedermi: a cos’è servito il premio Nobel per la pace conferito nel 2009 al signor Barack Hussein Obama, presidente degli Stati Uniti? A preparare l’avvento del signor Tump.
Mi raccomando: con la U di Udine. Non con la A di America. All’italiana, per intenderci. Si addice di più al personaggio.
Ma voi 60 lettori che seguite le mie fantasticherie assurde, abbiate pazienza,. Abbiate pazienza e compatitemi. Ve l’ho anticipato: sono invidioso.