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Questa sezione è dedicata alle notizie su Loriano Macchiavelli, oltre a segnalazioni, idee, progetti scritti di suo pugno. Seguitelo.

CURIOSITÁ

Mi piacerebbe sapere cos’hanno trovato di minimamente interessante i 13 milioni di spettatori nell’ultima (si fa per dire) notte del Festival della canzone italiana di Sanremo.
macchia

UNA BUONA IDEA

Il 4 febbraio si è tenuta a Bologna, sala Borsa, una giornata dedicata agli “Stati generali dell’immaginazione“ per ragionare a 360° sul mondo delle storie, di chi le scrive, le pubblica, le mette in scena, le filma, le disegna. Non un festival, non un’occasione di promozione personale, ma un confronto vero e aperto fra chi ama le storie e non potrebbe vivere senza, un momento per dirsi chiaramente cosa sta succedendo, cosa si vorrebbe che accadesse, per parlare di realtà, speranze, desideri e, perché no, sogni”.
Massimo Carlotto e Patrick Fogli hanno chiamato a raccolta narratori e scrittori per un confronto aperto sulla creatività…
Peccato che io non abbia sentito la chiamata. Forse ero distratto.
Peccato: mi sarei seduto in platea avrei ascoltato con interesse e attenzione il parere di colleghi importanti sul romanzo.
Da anni andavo chiedendo agli amici scrittori di organizzare un incontro con gli autori e i lettori proprio per capire cosa stia succedendo nella letteratura italiana.
Sono contento che qualcuno ci sia finalmente riuscito. E ancor più contento perché ci si è finalmente accorti che il noir ha perso la sua forza. Quando lo raccontai io, anni fa, sembrò che avessi bestemmiato il sacro nome del dio protettore degli scrittori.
Mi auguro che dall’incontro siano venute buone idee e buoni spunti per il futuro del romanzo italiano.
Se pubblicherete gli atti dell’incontro, avvertitemi. E a voce alta, stavolta. Non ve la prenderete se anch’io trarrò giovamento e vantaggi per il mio lavoro dai suggerimenti usciti dalle vostre discussioni.

macchia

UNA CARRIERA ALL’ITALIANA

Cari amici lettori, cerco di riprendere l’attività sul sito.
Lo faccio con una storia esemplare: considerazioni sulla carriera di un uomo che ha cominciato l’attività di critico d’arte augurando a Federico Zeri la morte immediata. Ha finito (ma è solo una speranza) , da politico, auspicando una morte violenta a quella “faccia di merda” del giornalista di Report che tentava di intervistarlo, poi ha esteso l’auspicio ai giornalisti de Il fatto quotidiano, se ho capito bene, pure loro “facce di merda”.
Nei ritagli di tempo (ne ha avuto molto) ha offeso le capre di tutto il mondo che, se lo incontrano, due corna nel culo non gliele toglie nessuno.
Secondo voi, nella sua qualità di cittadino cui sono affidate funzioni pubbliche, ha servito con disciplina e onore il suo paese?
Se vi tormenta il dubbio, consultatevi con il deputato che avete eletto.
Che voi avete eletto perché io non mi sento cittadino di questo paese.
Lunga vita agli onorevoli.
macchia

PS.
C’è un proverbio che gli antichi bolognesi come il sottoscritto ricordano ancora, nonostante il computer e l’intelligenza artificiale. Farà piacere al nostro eroe senza macchia e senza paura. Eccolo:
I azidànt i fèn al gîr d’la mura
e pó i tornen a chi li augùra.
che tradotto per i turisti che arrivano sui barconi, assicura, più o meno, che
gli accidenti fanno il giro delle mura
e ritornano a chi li augura.
rimacchia

Da Sabina, per l’ultimo saluto a Franco

Franco nostro non c’è più.
Sono stata lungo una strada, percorrendola insieme a lui, fianco a fianco. A un dato momento lui si è distaccato, andando avanti, superandomi. L’ho chiamato, si è girato e mi ha fatto cenno, ci siamo salutati; e per un po’ procediamo, io lo chiamo, lui si volta e mi vede.
Poi lo vedo che si allontana, cammino ma non gli tengo dietro. Lo chiamo, si volta. Lo chiamo, non si volta più. E io non riesco ad avanzare, una forza mi impedisce di passare, come un muro trasparente. Lo chiamo. Entra in una nebbia bianca. Sbiadisce.
Non lo vedo più.
Questo è tutto quello che posso dire del mio amore e del mio dolore, il resto è molto privato e incomunicabile.
Questo nostro incontro non è tanto l’addio a Franco, lui se n’è ormai andato e ognuno in cuor suo gli ha dato un saluto.
Questo incontro è per festeggiare noi che siamo qui e siamo vivi, la comunità di amici che durante la malattia di Franco è stata sempre più presente, anche di fronte a una sofferenza che faceva venire le lacrime agli occhi e non si sapeva cosa dire.
Sulla sua bara c’è lo striscione con scritto ‘la famiglia’: ecco, la famiglia di Franco era questa che si era scelta, questa comunità di voi che siete qui, ci siete stati, ci sarete.
E conserverete memoria, perché altro non possiamo fare.

Triste ritorno

Ieri sera, 9 gennaio 2024, anche Franco Insalaco ci ha lasciato.

Il dolore non lo si può raccontare né trasmettere al prossimo: supera sempre il valore delle parole. Per questo non cercherò di scrivere qui, io che di scrittura vivo, il mio dolore per la morte di Franco.
Mi porterò dietro, per gli anni che mi restano in vita, il patrimonio di conoscenza che Franco mi ha trasmesso nei suoi numerosissimi incontri. Con un monologare calmo, chiaro come il suo maestro e padre putativo, Pietro Toesca, gli aveva trasmesso. Assieme al prezioso dono della cultura come arma di difesa contro le continue violenze.
Di questo Franco ci ha narrato: della filosofia come strumento per analizzare la vita. Ho un pacco di fogli con appunti presi durante i suoi incontri. Il mio intento era di utilizzarli per dare vita e spessore al mio divagare narrativo.
All’amico Franco ora posso dire che quegli appunti erano vivi perché la vita gliela dava lui, con le sue pause meditative, le sue considerazioni che esulavano dall’argomento, ma solo apparentemente.
Adesso i miei fogli di appunti posso anche  bruciarli perché hanno perduto il loro padre.
Alle amiche (che le donne sono state le migliori e attente sue ascoltatrici), e agli amici con i quali ho condiviso la frequentazione e l’amicizia di Franco, raccomando di non dimenticare i sentieri che abbiamo percorso assieme. E di leggere le sue poesie, eredità che ci lascia, tradito dalla vita che sembrava essergli amica e che invece lo ha vigliaccamente illuso.
Franco non lo meritava.

Due poesie che mi ha regalato per un mio testo teatrale, e quindi inedite, alle quali tengo molto perché mi somigliano. E senza presunzione, Franco, amico mio.

Per i compagni morti sulla neve
 ovvero
I soldati e l’ideale

Cadono tra la neve scura
allo scender della sera
scivolando piano al sole
che avvampa dietro il monte
mirano tra gelo e fango
i nemici come bimbi
sanguinando nella carne
sotto il fuoco dei cecchini
ancora vivi nell’altro
mondo da dove tornano
disposti su letti bianchi
verso neri camposanti.
Chiusi nei sudari cristi
allineati con l’altro
fianco a fianco distesi
nelle lunghe bare aperte
verso il grigio grande mare
sempre più cupo e spento
e per sempre muto cuore.
Vossignoria questo è
ampio e mosso, uguale
al sertão dove vivemmo
bimbi mai vecchi. Donne
e case piccole di legno
lasciate per questa guerra
che non volemmo, e adesso
moriamo uccisi dai nazisti
per errore o malasorte
di un destino fingitore
che promise libertà
ai soldati galeotti
in cambio, sì, della vita.
Dietro alla contadina
sotto le stelle alte
nel cielo color di piombo
gli altri corrono alla cima
vinceranno la battaglia
contro chi si convinse
del feroce ideale che
venga di tutto la razza
prima. La bianca o gialla
rossa o nera ciò che conta
è la bandiera. A stelle
e strisce noi l’abbiamo
dai va’ avanti fino a quando
l’ideale ucciderà
con le bombe e col cannone
uno a uno tutti quanti.

Madre saluta il figlio che va in guerra
Adesso che vai lontano, ora chiedo
al cielo perdono per averti
concepito, per tuo padre buono
solo a prendere partito e urlare
contro questo e quello e penso
non sia poi così ingiusto credere
responsabile al mondo, figlio,
non sia in fondo altro che questo:
l’uomo senza mai darsi pace
combatte per giungere sempre
dove non rimane altro gioco
che perdere tutti insieme
qualcosa che è donato, figlio,
dalle madri, che danno buio alla
luce, silenzio al suono, sfondo
al corpo, senza di loro, figlio,
non saremmo al mondo. Ma strappa
il foglio che hai in mano, ribellati.
Ti nascondo nel ventre, che nessuno
ti possa trovare, ti nascondo
al seno, dove non sanno più
guardare, non partire lasciando
la vita scolorire in questa casa
vuota, senza fiato, lacrime, pane,
fredda e disperata. Lo so, bella
è la divisa e tu saresti di tutti
il migliore, ma non andare,
non farti venire dubbi, rosso
è il suo colore, sì, del tuo sangue.