A distanza di 28 anni dalla messa in onda, ancora passa sul piccolo schermo la prima serie televisiva “Sarti Antonio, un poliziotto, una città”. E ancora gli spettatori mi scrivono per esprimere il loro parere, il più delle volte favorevole. E ne sono contento. L’ultimo è di Cortes che scrive:
“Sarti è un buon prodotto ma Coliandro è cult.”
Sono d’accordo ma, visto che ho (abbiamo) molto tempo disponibile, in questi giorni, vorrei precisare. Non per polemica, caro Cortes, né per fare archeologia. Per informazione.
Nel marzo del 1992 (ecco perché scrivo di archeologia), dopo la messa in onda della prima serie televisiva “Sarti Antonio, un poliziotto, una città”, uscì un saggio sulla rivista Sceneggiare la cronaca – la fiction italiana l’Italia nella fiction, anno terzo, di Milly Buonanno (sociologa e giornalista), Nuova Eri edizioni.
Fra le tante (e belle) informazioni e considerazioni sulla serie con protagonista Sarti Antonio (per la TV e chissà perché non più sergente ma ispettore), la Bonanno scriveva:
Ispirata ai racconti di Loriano Macchiavelli, uno dei più originali giallisti contemporanei (esponente di quella che può essere definita “la scuola bolognese”, oggi raccolta sotto il nome di “Gruppo 13”, la serie ha costituito un piccolo successo della stagione e guadagnato al protagonista il riconoscimento di “personaggio dell’anno”( col titolo di “Antonio Sarti brigadiere”, una prima serie era già stata prodotta e messa in onda alla fine degli anni settanta). Soddisfacenti, ma non strepitosi – una media prossima ai due milioni e settecentomila: bisogna tuttavia considerare la collocazione del programma in seconda serata, con inizio dopo le ventidue – i dati di audience non rendono conto della capacità di presa della serie: di cui testimonia invece sia l’attenzione della critica e della stampa in generale – larga e in complesso favorevole copertura nelle rubriche televisive, articoli su quotidiani e periodici – sia e soprattutto il fatto che “L’ispettore Sarti” sia diventato una sorta di cult per il suo ristretto ma appassionato gruppo di spettatori (un pubblico in larga maggioranza settentrionale, presumibilmente emiliano, e con una incidenza della componente maschile fra le più elevate nel panorama stagionale degli ascolti).
Cos’ho tentato di fare con questa mia squallida autocelebrazione, caro Cortez? Ho tentato di dimostrare che il pubblico stabilisce il suo cult a seconda delle epoche e dei gusti e ciò che ieri era cult, oggi non lo è più ma, per la storia, sempre cult rimane.